Per la capacità di aver presentato un personaggio irresistibile con uno stile costantemente in equilibrio fra l’approccio documentaristico proprio dello spaccato della vita reale e quello della finzione pura, grazie all’ eleganza della confezione stilistica e soprattutto alla capacità di raccontare nel tempo ridotto del cortometraggio l’intera vicenda di un essere umano.
La Giuria del Bif&st 2014 presieduta da Nicola Giuliano
Premio Michelangelo Antonioni al regista del Miglior Cortometraggio / America
Con un inedito racconto del sogno americano, America ci ha permesso di sentire il palpito emotivo di un uomo e della sua generazione che ha vissuto sulla propria pelle una forte disillusione, attraverso un linguaggio cinematografico che supera il limitato discorso del documentario e della finzione.
Beatrice Fiorentino, Alberto Fasulo, Lorenzo Bianchini
Cervo d’Oro 2014 al Miglior Film / America
Per aver saputo raccontare un’umanità ai margini e, al tempo stesso, universale, con un linguaggio preciso e rigoroso.
La Giuria di FMK – International Short Film Festival 2014
Miglior Cortometraggio / America
Con una cura particolarmente attenta per ogni singolo dettaglio, America si rivela in grado di raccontare la storia di un uomo e di tutta una generazione, incrociandola con i piccoli eventi economico sociali dell’Occidente. Degni di nota la regia attenta e sorvegliata di Stevanon e la fotografia capace di porsi in sintonia con le alternanze chiaroscurali dello stato d’animo del protagonista.
La Giuria di I[n]DIFFERENTI 2014
Miglior Cortometraggio / America
(…) Sagre Balere di Alessandro Stevanon lascia dietro di sé l’impronta emotiva di una platea estiva, sedie bianche di plastica vuote, in attesa. Il battito dolcemente sferzante del sole e del vento, festoni colorati come riflessi sonori e un palco all’aperto da ricoprire al volo in caso di pioggia, “anziani che ballano al ritmo” di fisarmoniche. Questi i riti prima che canti Omar Codazzi, “stornellante” beniamino di folle danzanti del nord Italia, di signore d’età fan affettuosissime (saluto con tre baci come usa lì per augurare la buona sorte): lui, completo bianco, collana d’oro e croce, capello biondo gellato, viso da ragazzo cresciuto, sa le storie di ognuna, i figli, i nipoti, le operazioni di cataratta. (…)
Maria Grosso, Il Manifesto / Sagre Balere
(…) Oltre a essere un animale da palcoscenico, Omar sa anche come muoversi davanti alla macchina da presa e questo vale per tutte le persone che compaiono nel documentario. Bravo è stato Stevanon a entrare in relazione profonda con ognuno di loro creando una complicità palpabile, a riprendere gli spazi prima o dopo i concerti in maniera davvero incisiva e a restituire la sacralità del rito legato al ballo (come sembra suggerire il titolo con un cambio di consonante). (…)
Marì Alberione, Duels / Sagre Balere
(…) Uno sguardo che indaga l’intimità di un uomo per cercare di leggervi le radici di un pensiero, e di un sentire comune. Un viaggio al termine di una notte di danza che può lasciare spazio, e prima o poi lo farà in maniera definitiva, alle rovine, e alla memoria di un tempo che fu, e più non è.
Raffaele Meale, Quinlan
(…) Un biopic dalla grande forza narrativa, che riesce a raccontare con tenerezza e simpatia una vera e propria “star” di provincia.
Antonio Capellupo, Cinemaitaliano.it
(…) Stevanon si offre e ci offre la possibilità non di seguire un artista dinanzi a una folla anonima ma di dare voce ai volti in un’interazione che va al di là del fronte del palco. Ci troviamo così di fronte a un’Italia che alcuni non conoscono, che altri pensano stia scomparendo in dissolvenza così come lo Studio Zeta (che è diventato un centro commerciale) ma che per il momento c’è ancora ed attendeva qualcuno che ne mostrasse il sentire tra un passo di danza e l’altro.
Giancarlo Zappoli, MYmovies.it
(…) Sebbene Stevanon scelga di far aderire completamente il suo sguardo al protagonista, costantemente osservato sul palco e dietro le quinte, Sagre Balere finisce ben presto per oltrepassare la dimensione privata e singolare del personaggio, arrivando a fotografare attraverso una prospettiva ampia e onnicomprensiva l’interezza di un contesto, di un mondo nel quale in un certo senso confluiscono le visioni – più dettagliate, più estatiche – del Piavoli di Domenica sera (1962) e Festa (2016). (…)
Arianna Pagliara, PointBlank / Sagre Balere
Una ritrattistica fuori dal tempo, scritta sulla punta delle dita di un altrove che è poi giusto un passo più in là del presente: Alessandro Stevanon, aostano trentaduenne, è uno di quei giovani filmmakers italiani che preferiscono tastare il mondo seguendo una chiave intimistica, guardando il rapporto tra i vissuti, le storie, la storia, i luoghi di piccoli universi umani separati. Del resto è un valligiano, si dirà, il perimetro è il mondo della sua gente… Eppure poi nelle sue opere, che indubbiamente scrutano un universo conosciuto e amato, c’è anche l’attrazione per un altrove che non è solo vagheggiato, ma diviene lo specchio reale in cui le biografie delle sue figure si riflettono magari per un solo attimo, ma comunque realmente. Proprio come l’America dell’ultimo lavoro di Stevanon, non solo sognata ma anche abitata per un po’ da Pino, il protagonista, figura incredibile di ignaro poeta aostano, un sognatore caduto per terra, che attraversa la notte ubriaco, verseggiando realtà profonde nel silenzio urlato della sua incoscienza. Come spesso accade nei suoi lavori, Alessandro Stevanon lo racconta prendendolo in contropiede, partendo dal mondo che lo circonda, dalle immagini che occupano profondamente la sua realtà: la vecchia madre che prepara le tagliatelle, la penombra della sua casa, il suo ricordo di lei ormai morta… Pino è un disadatto non tanto al mondo quanto al sogno che ha vissuto, quello, per l’appunto, di un’America ovviamente mitizzata e poi abitata per un po’, giusto il tempo di rendersi conto della dura realtà e fare ritorno a casa, tra un padre e una madre che ne proteggono la poetica semplicità. Il confine incerto tra la realtà e l’immaginario di questo personaggio è quello che attraversa lo stesso Stevanon nel suo lavorare tra il ritratto documentario di quest’uomo e la messa in opera (non in scena…) del suo mondo: il livello di elaborazione è profondo, bascula tra la clownerie innata del personaggio e il suo fatalismo quasi terminale, sta tra la penombra di un mondo ormai andato (altri ritmi, altre attese) e la fredda luce di un mondo reale che tutto sommato non c’è già più. Stevanon racconta un personaggio sospeso tra la prosaica realtà del suo lavoro di maquillage delle salme nelle locali pompe funebri e la surreale performance clownesca che incarna nelle notti di Aosta, quando vaga ubriaco urlando in versi il suo rassegnato rancore per il mondo. E ottiene un ritratto profondamente affascinante, scritto sulla duplicità dell’esistere e raffigurato con la duplicità di un filmare che trova l’armonia tra il vero e l’immaginario.
Massimo Causo, Sentieri Selvaggi / America
Una anziana signora che impasta, le mani rugose, la fede stretta al dito dopo anni di diligente indossamento; quelle stesse mani che scorrono il tessuto sotto l’ago che cuce, consce di un gesto ripetuto a non finire, in passato e nel presente, parte di un dovere che si mischia al piacere. Un piacere che è anche quello che attraversa le immagini, quelle che Alessandro Stevanon è capace di farci gustare esteticamente fino in fondo nel suo ultimo lavoro, America.
Un cortometraggio questo a cui appartiene un particolare genio visivo, che sta a metà tra la regia e l’estetica fotografica. Al punto che forse potrebbe già molto nell’autonomia dei suoi quadri, senza quella traccia sonora dalla vocalità cavernosa. E invece poi, quella storia, ci racconta anche di più, e non è mai stata così piacevole una voce fuori campo come quella di Pino, Giuseppe Bertuna.
Sarà un po’ svitato, sarà un po’ depresso, questo lo stabilirà lo spettatore in totale autonomia, dopo aver ascoltato un riassunto sincero e viscerale di quella che è la storia di un uomo del sud emigrato nel profondo nord, e dai tanti sogni smorzatisi sotto un peso soprastante. Avrebbe dovuto essere un clown forse, avrebbe dovuto viaggiare per il mondo o vivere in America, e invece si trova adesso “primario del reparto Eternità”, a dipingere volti spenti per donare loro quella vita che è sfuggita, ormai. E a cercare le proprie scorciatoie tra l’alcool e i ricordi delle prime fantasie erotiche del passato.
Non c’è tristezza immediata, ma c’è una sconsolazione che permea e si legge persino nell’alito materializzato dal freddo, in quegli occhietti piccoli stretti dalle lenti, che ancora ti interroghi se possano essere stati bagnati dalle lacrime. Ci vuole uno sguardo attento, molto fine, per capire il personaggio, per congedare con lui la madre e la felicità. Quella “che non esiste”.
Un’equilibrata maturità di scrittura rende quel personaggio vero, surreale e distaccato dalla terra; o viceversa, materializza di un essere che non appartiene a questa dimensione, tutta la sua disarmante umanità.
Rita Andreetti, Indipendenti dal Cinema / America
Ci sono delle formule, che non sono quelle del racconto cinematografico nella sua forma più estesa, che permettono una libertà: io ho visto in questo modo di fare cinema una libertà della quale noi non disponiamo più.
Pupi Avati, regista
Con sguardo discreto Stevanon segue e ascolta, senza intromissioni, il protagonista e accompagna lo spettatore nella sua vita, sicuramente degna di essere raccontata.
Corti senza Frontiere, Website Magazine
Cosa succede quando un sogno muore? Essere giovani e spensierati ci fa credere di poter avere sempre tempo per procrastinare. I sogni sono lì, per realizzarli c’è tempo, tanto noi saremo giovani per sempre. Non importa se mamma e papà non vogliono assecondarci, non importa se le male lingue giudicano le nostre attitudini stravaganti. Eppure, se lasciati a marcire in un cassetto, i sogni possono appassire, incenerirsi nell’incedere del tempo e scatenare solo un’infinità di rimpianti. America è la storia della morte di un sogno. O di tanti.
Marta Tudisco, Lavanderia Young / America